venerdì 22 febbraio 2013

Caro agli dei... - Intro: La Sindrome di Tom Sawyer


LA SINDROME DI TOM SAWYER

Ovvero

DELLA MORTE E DI ALTRI TEMPORANEI INCIDENTI:

ALCUNI MODI DI SFRUTTARE LA MORTE COME MECCANISMO NARRATIVO

NEI FUMETTI SUPEREROISTICI

Ovvero

ANCHE NELL’EPITAFFIO DI CB

SERVE UN LUNGO ARTICOLO PALLOSO A TEMA

A cura di E. Marica





Cacchio, che sottotitolo lungo ha questo dossier!
E anche il dossier è troppo lungo!
Dottor J. Frink

0. La più antica professione del mondo – (Un lungo, necessario preambolo psico-(pato)-sociologico e anche nu poc’ filosofico)

Perché un dossier sulla “morte come meccanismo narrativo nei fumetti superoroistici”?
Ma perché di morte e morti sono zeppi gli albi dei supereroi! Lo sono fin da quando è terminata l’innocenza degli anni ’50 e l’irruzione della Marvel (e del conseguente “realismo”) negli albi dei nostri ipertiroidei ha modificato le regole del gioco.

Prima c’erano sostanzialmente storie a sé stanti, una situazione affrontata da un eroe in un non-tempo, con regole non solo fisiche, ma soprattutto psicologiche, che non consentivano la presenza della morte. Buoni contro cattivi, distrazione assoluta, il cattivo in galera alla fine dell’episodio, pronto a essere di nuovo in libertà…
Poi le regole sono cambiate, si è cercato più che il sense of wonder di un tempo, il sensazionalistico. E la morte è spesso un argomento sensazionale.

La morte tira, c’è poco da fare.
Dai gruppi rock che non litigano definitivamente prima di avercelo annunciato (magari prima di un disco e di un tour mondiale) ad attori decaduti che sbandierano velleità suicide per attirare di nuovo un minimo di quei riflettori da troppo tempo puntati altrove, la morte (o comunque la fine) fa notizia, è una spinta all’acquisto. Un artista o un presunto tale (meglio se “maledetto”) acquista la definitiva consacrazione solo post-mortem, e ci saranno orde di fanatici del complotto a dire che no, quel “grande” non è davvero morto, l’hanno visto in Iowa o è stato rapito dagli alieni…
La morte è una merce, nel grande mercato della comunicazione, ed è una merce che tira sempre: vogliamo ricordare, solo per fare alcuni passati esempi, che il Poema di Gilgamesh è una ricerca dell’Immortalità che si conclude con un insuccesso? O la morte di Ettore che gli darà onore di pianti…/ … finché il Sole / risplenderà sulle sciagure umane? O quella di Rolando/Orlando? O di Artù?
E ben pochi sono i fondatori o gli dei delle grandi religioni di cui non sia raccontata la morte (o per lo meno la scomparsa da questo nostro mondo del transeunte), morte che diventa sigillo e conferma della propria divinità o del proprio messaggio…

Vogliamo dimenticare, più banalmente e con un taglio più “gossip”, il grande affare della morte di Lady D o di Jim Morrison o di qualche politico? O chi era Brandon Lee prima di morire sul set dell’unico film di successo che abbia fatto (qualcuno ricorda Drago d’Acciaio? Siate seri!)?
Da rileggere le pagine della posta dell’allora “Il Corvo presenta”, zeppe di ragazzi SINCERAMENTE (bisogna sottolinearlo senza ironia) disperati per la morte… di un ragazzo giovane sì, ma che non era NESSUNO per loro, prima della morte prematura. Un ragazzo che loro adoravano e in cui si identificavano non per la personalità che emergeva nelle tre/quattro interviste da lui rilasciate, ma per un personaggio interpretato… e per la morte arrivata proprio quando stava per spiccare il volo.

Chi è caro agli dei muore giovane.

Eighteen ‘till I die.

Live fast, die young and play rock’n’roll…

La morte tira, c’è poco da fare. Perché la morte esce dal sogno dell’impossibile identificazione, per entrare in quella della VERA identificazione.
Mi spiego: quante ragazze degli anni '90 hanno sognato di essere un giorno principesse “modello Lady D”? Basti pensare che dopo la sua scomparsa uscirono vari sdolcinati film sull’argomento “toh! Ero una principessa e non lo sapevo!”.
Ma quante ragazze ne hanno avuto DAVVERO la possibilità? Quante, pur essendo al posto giusto nel momento giusto, avrebbero avuto lo stesso risultato? Idem per i ragazzi desiderosi di identificarsi in Kurt Cobain o, un po’ di tempo fa, in James Dean.

Ma la morte non è un’illusione: si muore tutti, prima o poi. In un modo glorioso o sereno o più spesso anche un po’ squallido e triste, ma si muore tutti, nessuno escluso, ricchi e ricchissimi inclusi.

Neppure le divinità, tutto sommato, sembrano riuscire a sfuggire a questo fato: muoiono gli dei norreni nel Ragnarokkr, muore il Buddha, muore Gesù Cristo (a prescindere dalla fede cristiana: muore in quanto uomo)…
Tutti muoiono, perché all’interno dell’esistenza dell’uomo è meno certa la nascita (si può anche non nascere!), è imprevedibile e contraddittoria la vita, ma la morte… Signori, diciamocelo chiaro: la morte è l’unica cosa certa della vita (sì, anche le tasse, ma solo per chi le paga).
E ogni mito DEVE necessariamente costituire un archetipo di interpretazione del reale, DEVE avere un collegamento con la realtà. Quindi possono essere dubbi alcuni miti sulla creazione, possiamo avere dei dubbi su cosa avviene “dopo il grande salto”, ma non ci sono dubbi sul fatto che si salti. Che si muoia tutti, insomma.

La morte ci rende uguali: la morte di un eroe, di un mito dei nostri o di altri tempi, ci fa davvero identificare con lui. Solo in occasione della morte superiamo quella barriera (sottile apparentemente, ma enorme nella realtà) che ci separa dal nostro idolo per farlo uguale a noi. La sua morte è la perdita di una parte di noi e ci colpisce, perché ci ricorda che anche noi non sfuggiremo. Perché noi, così più piccoli, più insignificanti, più deboli dei nostri feticci, non possiamo riuscire dove anche “loro” hanno fallito.
Il più antico mestiere del mondo è quello del becchino, c’è poco da fare.
Spoon River per tutti, signori.



0.1 La morte dei supereroi – (Il preambolo scende nello specifico)
Specie nei fumetti seriali supereroistici, i nostri amati comics occidentali, quelli che adorano il termine “Next” o “Continua” nell’ultima vignetta dell’ultima tavola dell’albo, la morte è usata a man bassa[1]. Ma la cosa particolare è che la morte dell’eroe non segna QUASI MAI una fine della serie: anzi, molto più spesso è un espediente alla “Beautiful” per ravvivare l’attenzione su una serie in difficoltà di vendita (con titoloni in copertina “Qualcuno non sopravvivrà a questo scontro!”) o in momenti di scarsità di idee o di tentativi di umanizzare un personaggio (e quindi far identificare le giovani o vecchie menti divoratrici della peggiori baggianate con il liso eroe che va in giro con una calzamaglia a raddrizzare torti).

Già, come se il dolore per la morte di un nostro caro qualunque, magari di un tranquillo impiegato, potesse essere rispecchiato dal dolore di un sub-umano che deve nascondersi dietro a un pirotecnico costume esibizionista per salvare il mondo…
Bah, lasciamo perdere.

Anzi, no: la morte di un personaggio è uno strumento narrativo, ma anche un tentativo di far sapere ai lettori quanto era figo il morto, quanto gli altri del suo pseudo-mondo lo rimpiangono e quindi quanto devono essere legati all’eroe morto i lettori, che quindi devono continuare a comprare il suo albo per devozione…
E poi perché quel “Continua?” in fondo all’albo? Quando il tizio-qualunque-tranquillo-etc. muore, beh, si deve pensare alle spese funerarie e basta, ma quando Psicopatico-in-calzamaglia-etc. muore… vuoi vedere che si salva?
Perché il nostro Psycho è immortale, o comunque c’è qualche gabbola relativistica (che so: i buchi neri, il viaggio nel tempo o un’altra dimensione!) che lo farà tornare, più rinnovato e grintoso di prima, per la gioia di grandi e piccini!
E che quindi, magari nella fantasia, anche per il nostro Tizio-qualunque-etc., che pure non vive in un mondo di inchiostro e carta, forse almeno il sogno di una ipotetica speranza di fregare la morte (uhm… e se imparassi a giocare a scacchi?[2]) c’è proprio dietro l’angolo!

La morte è un affare anche nei nostri fumetti. Un po’ tutti prima o poi ci passano (o sembrano passarci) e allora tutti fanno come Tom Sawyer dopo l’avventura nelle grotte: vanno a sentire il proprio elogio funebre (o ci sarà sempre qualcuno che si premurerà di ripeterglielo) e poi tornano in pista come se nulla fosse accaduto.

O no?

Insomma: questo epitaffiale articolo di una fanzine morta da anni che fa finta di resuscitare, si diletterà a mostrarvi alcuni esempi di come la morte sia una grande buffonata, un affare e soprattutto una porta girevole[3], almeno per il mondo dei supereroi cui, per pura pietà vostra e degli alberi abbattuti per fare la carta da fotocopie, ci limiteremo. E prenderemo alcuni albi più o meno famosi per darvi i fulgidi (tragici) esempi.

Porte girevoli, appunto: ma solo sulla carta dei fumetti.



[1] Il caso dei manga giapponesi è ben diverso: le serie prevedono SEMPRE una fine, benché possano prolungarsi (anche indefinitamente) nel tempo. I fumetti seriali italiani o USA, al contrario, terminano principalmente per motivi di vendita; le eccezioni possono essere dovute a ragioni esterne al fumetto stesso (ad esempio la morte di Charles Schultz, che non ha permesso la prosecuzione dei Peanuts) o a prese di posizione epocali e, tutto sommato, tanto atipiche da essere ricordate “negli annali” (come è il caso di The Sandman di Neil Gaiman, concluso per una decisione dell’autore di cui parleremo più avanti). Ovviamente qui stiamo escludendo i progetti che nascono come serie limitata.
[2] Vedi “Il Settimo Sigillo” di I. Bergman
[3] Si ringrazia Peter David (X-Factor n. 70) per la geniale metafora.

Caro agli dei… - 1. La vecchiaia impossibile


Correva l'anno 2005. La gloriosa fanzine Clark's Bar era defunta da un po' quando alla mente del mai troppo elogiato Roberto Ledda venne in mente di celebrare la sua dipartita con un numero “Epitaph” che avesse come argomento la MORTE nel fumetto. E così anche il sottoscritto scrisse alcune riflessioni poco serie su un argomento serio. E la prima di queste riflessioni la riprendo qui, con solo un minimo di revisione editoriale. Che ci volete fare? Il tempo è poco, prima che la Grande Consolatrice venga a farci visita, e altri impegni scrittorii mi impediscono di lavorare come si deve alle grandi recensioni di fumetti online che aspettano da un po'...
L'intro a questi articoli la trovate QUI, scusate per il pasticcio di pubblicazione!


1. La vecchiaia impossibile

Tata, non sono bambini, sono tutti grandi!”
Sciocchino, SEMBRANO solo così…”
Nanny, parlando degli X-Men in Uncanny X-Men n. 248

Dicevano i greci che chi è caro agli dei muore giovane, e ciò era particolarmente vero per gli eroi. Il mito di Nestore, della vecchiaia serena, rispettata e tranquilla, era meno attraente di quello di Achille che scelse una vita breve e gloriosa invece che lunga e oscura.
E i supereroi USA?
Di solito sognano una vita come Nestore ma fanno la fine di Achille…

Coerentemente con la scelta eroica, i super non muoiono della morte più diffusa, ovvero quella di vecchiaia (più o meno malandata)… perché non possono invecchiare.
Ora abbiamo supereroi vecchi solo nel fantastico (?!) mondo degli Elseworlds, delle realtà alternative. Esattamente come nelle soap operas[1] il tempo sembra passare MOLTO lentamente, anche nel mondo dei Super il tempo è una cosa strana, magari manipolabile da un Time Trapper qualunque, ma sostanzialmente immobile.

Un esempio? Tony Stark divenne Iron Man durante la guerra di Corea… anzi no, in Vietnam… anzi, no in un imprecisato paese del Sud-Est asiatico che è meglio non specificare perché altrimenti la Marvel dovrebbe cambiare di nuovo paese… e guerra[2].

Jean Grey/Fenice muore “definitivamente” per la prima (o seconda?) volta nel 1980 a 24 anni (è nata nel 1956[3]); essendo risorta più volte, la gnocchissima Jean oggi avrebbe la bella età di quasi 60’anni; ben tenuti, certo, e con qualche annetto di stasi che effettivamente potrebbe avere un effetto sulle rughe (se trascuriamo le maschere di bellezza telecinetiche cui si autosottopone la notte per tirarsi su il seno), ma a questo punto… quanti anni ha il buon Prof X?
Se aveva ALMENO 25 anni quando Jean si è recata per la prima volta alla scuola per giovani dotati (uhm… diciamo almeno 15 anni?), il Prof va per i 70… E non li dimostra. Che sia colpa del gene X? Che si facciano tutti trasfusioni di sangue da Wolverine, per suggere un po’ del suo fattore rigenerante (utilissimo in caso di macchie della pelle) e campare tranquilli?
Insomma: il mondo odia i mutanti perché hanno superpoteri o solo perché non invecchiano e risparmiano perfino sul chirurgo?

Fuor dalle facezie: il mondo dei supereroi è un mondo sostanzialmente immobile nel tempo. Si danno dei presupposti magari ancorati alla realtà (Magneto ha conosciuto l’Olocausto, Tony Stark ha combattuto in Corea, Superman ha fatto la Seconda Guerra Mondiale[5]), ma tutto viene messo a tacere nel giro di un mese. Perché il mondo corre, e i personaggi non possono correre con lui, perché invecchierebbero e poi dovrebbero morire… Per cause naturali, ovvero irrimediabilmente.
E invece finché i personaggi riescono ad (at)tirare, occorre che rimangano sostanzialmente uguali a sé stessi. Beh, sì, c’è il trucchetto del clone e del Mutante Alpha che riporta Magneto all’infanzia, ma è pur sempre un trucco che non si può tirare troppo alla lunga (e non per tutti).

I Fantastici Quattro sono figli del 1963, c’è poco da fare: il presupposto dei FQ è arrivare nello spazio prima dei “maledetti rossi”[6], e questo deve seguire di poco il volo di Gagarin e precedere lo sbarco sulla Luna.
Che Franklin abbia ancora circa 6/8 anni (o lo hanno fatto crescere?) da decenni è un punto fermo, anche perché Reed sarebbe ben vecchietto… Ah, già, dimentico sempre che anche lui ha il potere di modificare i tratti del suo volto gommoso, e che gli hanno fatto perfino le basette bianche per segnalare l’inevitabile avanzare del tempo!

Scherzi a parte: perché i nostri personaggi non possono invecchiare?
La DC ha da tempo adottato la tecnica di creare Elseworlds (mondi ipotetici) o di spazzare via tutto l’universo con “rifondazioni dal principio”[6], in modo che quasi tutti i suoi eroi abbiano per lo più sempre 25/30’anni, ma siano legati alla realtà che li circonda. La geniale idea della continuity Marvel (unico mondo, con scorrere del tempo “misurabile”) mostra sempre più le sue crepe, come d’altronde è ovvio per un meccanismo che vuol portare la logica del NOSTRO MONDO in un mondo che si basa necessariamente sulla sospensione dell’incredulità da parte del lettore.

Mi spiego: è assurdo che Peter Parker aderisca ai muri, che Ciclope spari raggi distruttivi dagli occhi, che Bruce Banner invece che prendersi un ahimè normalissimo e mortale cancro da radiazioni abbia sviluppato il cancro chiamato Hulk. Ma questi sono fumetti, fumetti da supereroi, e quindi lo accettiamo, grazie a quella “sospensione dell’incredulità” che sta alla base di ogni narrazione fantastica e non solo.

La continuity è un modo per portare verosimiglianza (la verosimiglianza del NOSTRO mondo) nel mondo dell’assurdo: dato il presupposto che tutti i supereroi vivono nello stesso spazio\tempo, è logico che se Devil va a Broadway nello stesso momento in cui il Punitore regola i conti con una famiglia mafiosa, Devil effettivamente incontri il Punitore che fa fuori la famiglia mafiosa. Ok, è il bello della continuity, no[7]?
È il bello della continuity.



Tutto ciò che non rientrava perfettamente nella (un tempo) sacra continuity doveva essere giustificabile e giustificato. Se il Dottor Strange era nella dimensione di Dormammu il 15 marzo, non poteva essere a casa a risolvere i dubbi mistici di Peter Parker lo stesso giorno.
Se era ANCHE a casa, forse si trattava di un’immagine creata dal Dottore, o forse era un demone che voleva ingannare Peter Parker… Insomma, tutto si risolveva all’interno della logica INTERNA del fumetto[8].

Già, ma quando il fumetto interagisce con la realtà REALE? Quando il tempo INTERNO del racconto trova agganci nel tempo della REALTa’? Nell’Universo Marvel, Apollo IX è sbarcato nel Mare della Tranquillità?
Voi direte: chi se ne frega, visto che per la Marvel la Luna è zeppa di impronte di superdeficienti (e perfino di qualche piuma di Angelo) e di Guardoni cosmici.
E già, ma quindi le apparizioni di Kruscev nelle storie di Iron Man degli anni ’60 erano di un suo sosia sostituito appena qualche mese fa (parlando del TEMPO INTERNO alla narrazione)… e il Muro di Berlino è scomparso a una velocità pazzesca.

Insomma: il voler far entrare la realtà nei fumetti con le sue icone e i suoi avvenimenti implica che il tempo dei supereroi sia quello della nostra realtà. Ma questo non è possibile!
Un anno di uscite mensili di un albo (ovvero il tempo della NOSTRA realtà) può corrispondere a pochi giorni (o a meno di uno solo!) nel tempo del fumetto. Ciò è assolutamente ovvio nella logica del fumetto[9] (il tempo che passa è quello che SI DICHIARA che passi nell’albo o nella serie), ma quando si cerca di mescolare i due tempi, il gioco non regge.

La fondamentale regola non detta del fumetto seriale, del personaggio che deve continuare ad avere avventure finché c’è un numero sufficiente di lettori, è che… la squadra che vince non si cambia! (Uau, viva le banalità!).
Ovvero che una formula che funziona non può\deve essere modificata finché non si è costretti a farlo.
Ma attenzione: il lettore, specie quello distratto, deve poter ritrovare nel suo personaggio le caratteristiche che hanno spinto il giovane lettore ad appassionarsi la prima volta. E le deve ritrovare anche se perde per un lasso di tempo lungo anche anni.

Il Supereroe può diventare maturo ma non invecchiare, anche perché il target di pubblico dei supereroi americani è, ahimè, andato sempre più stabilizzandosi verso gli adolescenti. E gli adolescenti possono concepire la guida di un giovane deciso, che prelude a uno stadio a cui loro stessi vogliono arrivare (i vantaggi della giovinezza più i vantaggi dell’indipendenza), ma non sono molto attratti dalla vecchiaia, troppo lontana e vista in fondo come un po’ negativa, come la perdita delle prerogative della “vera” vita.

Ci sono serie più “oneste”, come i Peanuts o come i nostrani Bonelli[10] in cui il legame con un tempo VEROSIMILE non esiste. Tex ha quarant’anni circa, e passa senza problemi dall’avere quarant’anni intorno al 1860 o al 1890. Charlie Brown e i suoi amici sono e saranno sempre alle elementari [11].
I supereroi per convenzione non possono invecchiare, ma per convenzione vivono in un mondo che potrebbe essere il nostro: la contraddizione non è risolvibile, ma la vecchiaia non è consentita.



[1] Non dimentichiamo che soap operas e telenovelas sono eredi del feuilleton sette/ottocentesco… e seguono le sue regole esattamente come tutta la paraletteratura seriale e come il nostro amato fumetto (non solo supereroistico, ma sicuramente seriale). Vedi al proposito C. Bordoni e F. Fossati, Dal feuilleton al fumetto – Generi e scrittori della letteratura popolare, Libri di Base 90, Editori Riuniti, Roma 1985.
[2] E infatti, raccontando di nuovo le origini di Testa di Ferro sono state ambientate in un generico paese islamico tra attacchi di terroristi. Vista la tensione degli USA verso la Corea del Nord, nulla vieta una ringcomposition (composizione circolare) aedico-epica con una prossima “origine rinarrata” ambientata all'ombra della famiglia Kim.
[3] Vedi The Uncanny X-Men n. 138 dell’ottobre 1980 (in Italia Uomo Ragno Star n. 19): a pag. 1 c’è proprio la tomba della defunta Jean con queste date di nascita e morte…
[4] Se è per questo la ha combattuta anche Topolino…
[5] Fantastic Four n. 1
[6] Il primo ragionato tentativo di effettuare questa operazione fu il leggendario Crisis on Infinite Earths.
[7] La gabbia della continuity fu consapevolmente abbattuta nei What if…, i “Mondi alternativi dell’Osservatore”, collana antologica che mostra “cosa sarebbe accaduto se…”: insomma il concetto di Multiverso Dc spostato nell’Universo Marvel.
[8] Tant’è che nella pagina della posta degli albi Marvel era stato ideato il “no prize”, il “non-premio” destinato a quei lettori che dimostrassero come gli errori di continuity in realtà NON fossero errori, ma una cattiva comprensione dei fatti (da parte dei lettori più sprovveduti, ovviamente) o un trascurare qualche possibilità peregrina… ma possibile nel mondo dei supereroi.
[9] Tralasciamo i manga visto che stiamo parlando di supereroi americani, ma come non fare un citazione dell’immensa dilatazione del tempo che troviamo ad esempio in Capitan Tsubasa, dove tra la gamba tirata indietro per calciare un pallone e l’effettivo calcio scorrono anche una cinquantina di pagine…
[10] Escludiamo Martin Mystère che dell’aderenza alla temporalità reale ha fatto il suo punto di forza (ma non invecchiano altrettanto coerentemente i comprimari come Diana o Java): ma è significativo che i recenti cartoni animati di MM presentino un GIOVANISSIMO Martin, che non ha alcuna intenzione di invecchiare! Per quanto riguarda gli altri eroi Bonelli che invecchiano… Nathan Never ma anche Brendon, sono confinati in un futuro slegato da vincoli di scorrimento realistico del tempo; Mister No in un passato rimodellabile a piacimento, Dampyr ha la caratteristica di invecchiare molto lentamente… praticamente in maniera impercettibile per i lettori!
[11] Stessa cosa accade per i protagonisti de I Simpson.

PS: Le immagini non mi appartengono! Sono solo usate per fini di commento! Questo blog non ha fini di lucro! 

domenica 3 febbraio 2013

Tempo, date e Mr Moore.




Per la serie: “Ma quanto è stratificato il lavoro di Alan Moore?”, un ennesimo episodio di questo pozzo di San Patrizio con un paio di curiosità cronologiche...
Perché il tempo è uno dei protagonisti della perizia strutturale di Moore.
E le date, specie quando sono sottolineate da frasi, didascalie o volute inquadrature, non sembrano affatto casuali.

La prima data di Watchmen (Albo I, Tavola 1, Vignetta 1) ha come data il 12 ottobre 1985.
Benvenuti in America, Columbus Day. Non c'è nulla da festeggiare, e in effetti nessuno festeggia! Niente parata, niente di niente...
Se non che la scoperta dell'America si deforma nella scoperta di un omicidio, e che un eroe (eroe?) è morto.

Quanto al sogno americano, secondo il Comico era già morto nel caos del 1977, un solo anno dopo il centenario degli USA (Episodio II, tavola 18). Ma le sommosse anti-vigilantes quando si svolsero?
Dalla data della Legge Keene, possiamo immaginare che avvennero nel luglio 1977: nella “nostra realtà” è il momento del grande blackout di New York, e dei saccheggi e delle sommosse che lo seguirono.

Come detto, la conseguenza di quelle sommosse ci fu il 3 agosto 1977, quando la Legge d'emergenza del Senatore Keene viene approvata, e i vigilantes sono dichiarati illegali.
Data casuale? Nella “nostra realtà”, quella è il giorno in cui il Senato USA inizia le audizioni sul Progetto MK Ultra. Ma l'ironia di Moore ha forse trascurato il fatto che in quella data, nel 1914, la Germania aveva dichiarato guerra alla Francia scatenando di fatto la Prima Guerra Mondiale e che il 3 agosto 1934 Adolf Hitler era divenuto ufficialmente il Fuhrer della Germania unendo la carica di Presidente a quella di Cancelliere?

L'ultima data del Diario di Rorschach è il 1° novembre 1985. “Poco prima di mezzanotte” (tra il 30 e il 1° novembre, Halloween) Nite Owl e Rorschach hanno svelato gli antichi spettri e hanno scoperto il colpevole.
Faranno un viaggio di... chissà quanto? verso il covo del nemico. Ma è un viaggio mitico, come quelli di Ulisse, e riusciranno ad arrivare in tempo alla lontana destinazione per la mezzanotte del 2 novembre.
Perché a mezzanotte del due novembre il Dottor Manhattan e Laurie si teleporteranno da Marte a Manhattan. In tempo per la festività del giorno dei morti... (Episodio XII, tavola 7)

A Natale (vigilia? Il giorno?) di un anno che probabilmente non è il 1985, ma uno successivo*, tutto “finisce”. Nasce una nuova era.





V for Vendetta inizia ovviamente il 5\11\1997, Guy Fawkes Night, la Bonfire Night inglese.
E finisce il 10 novembre 1998: nel 1604 fu il giorno in cui Fawkes, piegato dalla tortura, rilasciò la sua confessione, la sua sconfitta.
Ma siccome il tempo sa essere strano e Mr Moore non crede nelle coincidenza, il 10 novembre del 1869 nasceva un emulo di Fawkes, che ebbe successo nel suo tentativo: Gaetano Bresci, l'anarchico italiano che uccise Umberto I di Savoia... **



* non credo si tratti del Natale 1985, ovvero solo meno di due mesi dall'“evento”: New York è ripulita, e nell'incrocio stradale che è stato un incrocio di destini è stato aperto un Burgers 'n' Borscht al posto del Gunga Din. Può essere al massimo quello del 1987, perché un giornale annuncia la possibile candidatura di Robert Redford alle presidenziali che, come di norma, dovrebbero svolgersi a novembre 1988.

** curiosità per curiosità: è anche la data di nascita di Ennio Morricone (1928) e di Neil Gaiman (1960).


PS: le immagini non mi appartengono, e sono prese da Internet. Questo blog non ha alcun fine di lucro!

venerdì 1 febbraio 2013

Non proprio presente, non proprio sparito


Dopo un gennaio di corsa, guardo The DanGER Area e mi rendo conto che l'ho trascurato per un bel po' di tempo (quattro mesi!).

In realtà non sono stato poi così fermo, all'inseguimento di progetti che, dopo il naufragio di DanG.E.R., riguardavano solo le mie forze.
Meno fumetto e più assalti a Costantinopoli, insomma. Qualunque cosa possa voler dire :-)

La mia collaborazione con il benemerito Conversazioni sul Fumetto, inoltre, ha assorbito i pochi momenti che ho potuto dedicare al fumetto: lì sono apparsi articoli che in origine erano destinati proprio a questo blog.

Che faccio, li riposto per far vedere che questo blog non è morto?

Direi di no. Basta un buon link (leggetevi tutto il blog, è una delizia per gli amanti del buon fumetto) e una breve sintesi.



ED ECCO... LA SINTESI!
(No, non è la mia identità da Supereroe!)

Dopo l'articolo sul mio albo dell'Uomo Ragno preferito (di cui ho parlato QUI su DanGER, ma QUI c'è il link diretto), ho cercato di chiarirmi le idee sul fumetto next level.

Ovvero ho sproloquiato su come fare fumetto rispettando i canoni classici dell'arte (?) sequenziale. E poi su come poter fare qualcosa di diverso nel solco della tradizione, sfruttando però le potenzialità del web.

Così è nato un lungo articolo, lontano discendente di velleitarie elucubrazioni di dieci anni fa.
La prima parte (la trovate QUI) cerca di mettere alcuni paletti su cosa sia fumetto e cosa no, soprattutto alla luce di una serie di esperimenti definiti "fumetto", ma che, secondo me, non sono fumetto vero e proprio. Non aspettatevi verità rivelate, però! E' solo il mio giudizio, ovvio.

Nella seconda parte (la trovate QUI) ho analizzato il fumetto Luther di Mark Waid, che, a mio parere, è un buon esempio di come usare il digitale restando nei canoni del fumetto tradizionale.

Come sempre aspettatevi lunghi discorsi con poca punteggiatura e abbondanza di subordinate!
Ma chi vi dice che la lettura sul web deve essere per forza facile?

(No, non linciatemi, per favore...)






PS: CsF mi ha "preso"anche un articolo su una tavola di De Luca... Quando i loro spazi prevederanno la pubblicazione, cercherò di essere meno tardivo a segnalarvelo anche qui.

PS. l'orologio non è mio, la foto non è mia, l'ho presa dal web. Non denunciatemi! Questo blog non ha scopi economici!