sabato 30 giugno 2012

Tre modi di vedere l'antisemitismo nei fumetti americani – 3. The Uncanny X-Men, o l'antisemitismo come stilema letterario (meno 2012.3 al Big.T)


Ecco l'ultimo dei tre articoli sull'antisemitismo destinati a un numero di Clark's Bar del 2000... che non uscì mai. Riveduto, in parte corretto, ma non ampliato. QUI abbiamo introdotto il discorso, QUI abbiamo parlato dell'antisemitismo così come emerge dalla lettura di Maus, e infine QUI abbiamo visto alcuni spunti sull'argomento che si possono trarre da Verso la Tempesta di Eisner.



L'idea dei mutanti, gli Homines Superiores, perseguitati perché 'diversi' dagli Homines Sapientes era già nella prima incarnazione degli X-Men: prima Lee e Kirby, e poi soprattutto Roy Thomas, ci avevano parlato della paura del diverso che si nasconde nel cuore dell'americano medio.
Quando le redini della saga dei nuovi X-Men furono prese dal britannico Chris Claremont (a quanto pare non estraneo all'ideazione della nuova formazione di mutanti), la serie riprese ed ampliò queste tematiche: negli anni '80 il razzismo, l'odio dell'uomo “normale” contro il diverso, divenne il tema dominante della serie.
Il rapporto con i mutanti, con la 'nuova razza', divenne una metafora del fragile equilibrio in cui si trovava all'epoca (si trova ancora oggi?) la composita società americana. Una società piena di paura, che non esita a rinunciare agli irrinunciabili diritti per colpire addirittura altri cittadini americani, qualora questi non siano omologati in qualche modo (un superpotere, in questo caso) alla maggioranza.

La nuova formazione di X-Men presentava alcuni personaggi che enfatizzavano questa differenza. Nella nuova squadra Ciclope e Banshee (e soprattutto Marvel Girl nella sua trasformazione in Fenice), erano 'banalmente' marchiati dal “potere pericoloso e distruttivo”, da tenere costantemente sotto controllo, come nell'idea della serie originaria.
Gli altri mutanti aggiungevano ai loro poteri una 'stranezza' fisica o etnica, e rispondevano al tipo del concittadino 'diverso', con cui il cittadino WASP (Bianco, di origine anglosassone, protestante... e culturalmente maschilista) si trova ad avere a che fare: troviamo la donna emancipata, per di più nera (Tempesta); il freak (Nightcrawler); lo psicopatico (Wolverine); il nativo americano (Thunderbird); il comunista (Colosso); l'orientale (Sunfire).
Dopo i primi cicli di storie arriverà nel gruppo anche un'ebrea, Shadowcat.

Tutta la saga di Claremont fino al principio degli anni '90 è, come detto, impregnata da questo ideale costantemente frustrato dell'integrazione.
Lo scrittore è bravo a giocare sul sottile senso di colpa che attraversa l'americano medio, che si scopre lacerato tra due diverse idealità che sono sottese all'idea di America: da un lato c'è l'esigenza di omologazione, di meltin'pot tra le diverse componenti; dall'altra la tradizionale e culturalmente radicata idea di America come difesa del diritto alla differenza.
In fondo l'idea 'nazional-popolare' di America vede nell'Europa la terra delle persecuzioni e della povertà; dai Padri Pellegrini in poi, i diseredati potevano fuggire in America proprio per proteggere la propria libertà di essere 'diversi'.

Claremont dice continuamente ai suoi lettori che il nemico più temibile non è il supercriminale, visibile e palese, ma è la gente comune (il lettore stesso, se vogliamo) che teme il diverso anche senza rendersene conto; che l'uomo è naturalmente cattivo ed egoista nei confronti degli altri uomini e che quindi gli eroi sono quelli che hanno un sogno di integrazione ed armonia; che basta poco perché un onesto americano timorato di Dio crei campi di concentramento e robot potentissimi per sterminare il proprio vicino di casa solo perché questi é, appunto, un diverso.

Solo nel 1988, durante la seconda parte della sua lunga cavalcata alla guida delle testate mutanti, Claremont ideerà l'africana Genosha, la ricca ed evoluta terra in cui i mutanti vengono non sterminati ma sfruttati e trattati come subumani, sul modello del Sudafrica dell'Apartheid.
Nei primi anni '80, invece, la metafora deve essere più mediaticamente chiara e semplificata: il nazismo e le sue persecuzioni contro gli ebrei, per la loro vicinanza cronologica e psicologica, forniscono quasi naturalmente il modello per il futuro dei mutanti. Qui il 'diverso' non è da sfruttare, ma da eliminare.
Così nella saga dei Giorni di un futuro passato (Uncanny X-Men nn. 141-142) le modalità che portano alla caduta dei mutanti seguono quasi passo per passo la strategia antisemita della Germania Hitleriana: propaganda elettorale, paura del 'nemico interno', una democratica presa di potere, una persecuzione ordinata per legge, campi di concentramento, macchine per uccidere.

Eppure questa metafora non trova un legame con un personaggio specifico.

Dell'ebraismo di Kitty Pryde, infatti, sappiamo ben poco: il cognome non è tipicamente istraelita, solo dopo anni si esplicita la sua fede, intuibile solo da una catenina con la stella di David che porta al collo. Ed in effetti non tanto la religione rende Kitty 'diversa' e destinata al campo di concentramento, quanto il suo essere una mutante: la sua fede non determina la sua psicologia, né è il motore principale di una storia.


Differente è il caso del 'nemico' per eccellenza degli X-Men, Magneto.
Vari indizi portano a credere che anche il Signore del Magnetismo sia ebreo, benché in questa fase della narrazione di Claremont il fatto non sia mai affermato esplicitamente. Il Magnus di Claremont oscilla continuamente tra i 'buoni' ed i 'cattivi' e, forse per ragioni di politically correct, in ambito supereroistico non esistono ebrei puramente 'malvagi'.
Inoltre nel fumetto supereroistico degli anni '80 non si trova più il villain divenuto tale per pura malvagità... per lo meno tra i supernemici più importanti!
Così la volontà di dominio e di sopraffazione di Magneto devono trovare una ragione di nascita.

La psicologia di questo supercriminale viene approfondita proprio narrando i suoi trascorsi: scopriamo un suo soggiorno in Israele poco dopo la guerra al fianco di un giovane Charles Xàvier (Uncanny X-Men n. 161) e poi la sua prigionia ad Auschwitz (Uncanny X-Men n. 199). Tutto nell'ambito del tentativo di scoprire perché Magneto è divenuto tale.
Da ambizioso, classico malvagio (nella versione Lee-Kirby vuol solo dominare la Terra grazie ai suoi poteri) Magnus diventa un tormentato idealista: davanti a un tribunale internazionale, alla domanda “Lei persegue ancora la dominazione del mondo?”, il Magneto di Claremont risponde: “Il mio sogno, fin dall'inizio, é stato proteggere e conservare la mia specie, i mutanti. Risparmiare loro il fato sofferto ad Auschwitz dalla mia famiglia”.
Magneto insomma afferma di aver sbagliato non nel valutare i presupposti, ma nei metodi impiegati per fermare le inevitabili conclusioni di questi presupposti: “Io... ho il potere di fare qualcosa. Ho pensato, erroneamente, che quelle nazioni avrebbero compreso più d'ogni altra cosa il loro linguaggio, la violenza. Sfortunatamente la violenza ha generato violenza, innocenti ne hanno pagato il prezzo. Un prezzo che... come ho scoperto più tardi, era altissimo” (Uncanny X-Men n. 200).

Dunque il male non può che generare male, e a causa delle persecuzioni anche gli innocenti, gli idealisti, si trasformano in esseri spietati: in Uncanny X-Men n. 203, Magneto dice “Nei primi tempi della nostra amicizia, Xàvier mi chiese se avrei ucciso Adolf Hitler da neonato... quando era un bambino innocente... per risparmiare al mondo l'orrore. Risposi di sì. Poi mi chiese... avresti ucciso i nonni di Hitler? Risposi di sì nuovamente! Avrei pagato qualunque prezzo, compiuto qualunque sacrificio per estirpare quel male”.

Ma della persecuzione subita ci sono solo accenni, scene divenute ormai tipiche della più convenzionale 'crudeltà nazista': siamo pur sempre nell'ambito di un prodotto destinato al vasto pubblico, acquistato più per svagarsi che per riflettere, e Claremont può permettersi al massimo di accennare, di inserire immagini di una Auschwitz purtroppo divenuta stereotipata, non di approfondire.

Cos'é l'antisemitismo in queste storie? Claremont, ottimo autore del fumetto seriale in cui ha introdotto psicologie e tematiche nuove, non ha, probabilmente, mai avuto intenzione di realizzare opere di profonda riflessione.
L'antisemitismo in Claremont è un espediente narrativo, una lontana idea astratta, da usare come spunto per alcuni stilemi letterari, dalla distopia (l'utopia negativa) alla psicologia tridimensionale dei protagonisti dei comics: è un modello per un futuro da evitare, è l'orrore di un passato da temere, è una dolorosa eredità per un presente su cui riflettere.
E' visto non per la sua realtà, ma perché è ormai un archetipo: ma come tutti gli archetipi rischia di diventare solo un luogo comune.

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