lunedì 25 giugno 2012

Tre modi di vedere l'antisemitismo nei comics americani 1 - Maus, o l'antisemitismo come causa del male (meno 1933.4 al BigT)



Per la vicinanza cronologica e la sistematicità con cui fu realizzata, la persecuzione nazista è, agli occhi di noi 'occidentali' odierni, la manifestazione antisemita per eccellenza.

Realizzata a partire dal 1933 fino al 1945, l'Olocausto partì dalle tristemente tradizionali violenze contro i beni per arrivare al tentativo della 'soluzione finale' richiesta da Hitler. La persecuzione cruenta contro gli ebrei non è stata un evento raro in questo secolo (basti pensare ai pogrom in Russia), ma il progetto di un'eliminazione totale degli ebrei fu un'atroce novità, della quale gli ebrei stessi non si resero conto se non quando fu troppo tardi. Testimonianza di questo “tragico risveglio” lo ritroviamo in Maus di Art Spiegelmann.

Figlio di due ebrei sopravvissuti al campo di concentramento di Auschwitz, il fumettista Art racconta la storia dei genitori, una storia che sulla sua vita ha avuto un influsso determinante: la madre Anja si era suicidata, non avendo mai superato il trauma dei campi e della morte di tutta la sua famiglia; l'educazione dura del padre Vladek rifletteva la terribile esperienza; tutti gli amici dei genitori erano anch'essi scampati ai campi; per il piccolo Art era normale che nel sonno tutti si lamentassero, in preda ad atroci incubi...
La prospettiva con cui l'autore ha vissuto e subito l'esperienza dei genitori si trova, emblematica, già nelle prime due tavole: Art, a New York parla al padre dei suoi amici con cui ha litigato. Siamo nella sicura e tollerante New York, e si tratta di litigi tra bambini. Ma Vladek non riesce a consolare il figlio prescindendo dalla sua vicenda: “Amici? Tuoi amici?... Se tu chiudi loro insieme in stanza senza cibo per una settimana ALLORA sì scopri cosa è amici”.

La persecuzione, Auschwitz, entrano costantemente nella vita di Art, sono l'origine dei 'guai' dei genitori, ma anche del figlio. New York non è abbastanza lontana, nessun luogo lo è.
La vita del giovane Art è sempre stata dominata dalla figura paterna e dall'ombra dell'Olocausto: dal confronto impossibile con il fratello Richieu, morto nelle persecuzioni, al ricordo di tristi pranzi in famiglia (“Da piccolo, se non mangiavo TUTTO quel che mi serviva la mamma, papà e io litigavamo e alla fine io correvo nella mia stanza in lacrime... a volte me lo faceva rimettere davanti per giorni e giorni fino a che non lo mangiavo o morivo di fame”), al continuo conflitto con un padre in grado di cavarsela in qualunque situazione, di fronte al quale Art si sentiva (e si sente) ancora inadeguato.
Cresciuto, Art vorrà capire perchè il padre si comportava così con lui, perché Vladek soffriva e perché, di conseguenza, anche Art soffriva. E' un'indagine al confine tra la psicologia, l'analisi storica, la religione: Art indaga per scoprire le radici della sua sofferenza, ma questo lo porta a un'indagine sulla sofferenza dell'umanità intera.

Maus è la storia di questa ricerca, articolata su due piani: la storia di Vladek ed Anja da un lato e dall'altro quella di Art che vuole far sua questa storia, perché ne ha vissuto le conseguenze sulla sua pelle.

Art si sente in colpa verso un padre che non riesce mai ad accontentare, che ha un figlio vivo e perciò fallibile, ed un figlio morto che, proprio per l'assenza di prove contrarie, avrebbe potuto renderlo orgoglioso.
Art si sente in colpa verso la madre, per non esserle stato abbastanza vicino, per non aver capito il dolore che l'ha portata al suicidio. La distruzione dei diari della madre, che chiude il primo volume di Maus è simbolica: Vladek ha distrutto (“Troppi ricordi!” si giustifica) un lascito che Anja aveva destinato esplicitamente al figlio, diari cercati ufficialmente per la storia a fumetti, ma che si intuisce siano in realtà la possibilità di Art di redimersi dal senso di colpa, di trovare quel contatto con la madre che si era interrotto, come ne 'Il prigioniero del pianeta Inferno' (un vecchio fumetto di Art).
Ancora una volta Vladek si contrappone al tentativo del figlio di superare il dramma.
Art si sente in colpa paradossalmente perché non ha vissuto Auschwitz: all'inizio del secondo volume, dice alla moglie (e a sé stesso): “A volte avrei voluto essere ad Auschwitz con i miei per capire veramente cosa hanno passato!... Forse ho un senso di colpa per avere avuto una vita più facile di loro.”

In un incubo, un giornalista chiede ad Art: “Può dire al nostro pubblico se disegnare Maus è stato catartico? Si sente meglio, ora?”.
No, Art non si sente meglio, perché non riesce a capire, non trova la chiave. Ne parla al suo analista, Pavel, un altro scampato ai campi ed emerge ancora il confronto con Vladek. E nonostante la dimostrazione che il padre aveva torto (Art non é un fallito, Maus é un capolavoro), Art non riesce a cancellare il proprio 'peccato originale': “Qualsiasi cosa realizzi io, è niente rispetto al fatto di sopravvivere ad Auschwitz”.

Ma è vero?

Art si rivolge a Pavel perché è un bravo analisto, o piuttosto perché si tratta di un altro sopravvissuto, perché inconsciamente cerca un altro padre simile a Vladek nelle esperienze ma più comprensivo?
In realtà c'è una sostanziale differenza nella visione dell'Olocausto che hanno Vladek e Pavel: Vladek in tutti gli episodi narrati sottolinea continuamente la sua abilità, il suo comprendere prima degli altri come é necessario muoversi per cavarsela; in tutte le sue vicende Vladek commette un solo errore, e quell'errore porterà lui e la moglie ad Auschwitz, ma sa rimediarvi: lui ed Anja sopravvivono. Pavel, al contrario, attribuisce sopravvivenza e morte al puro caso.
Con il padre Art si sente sempre un bambino piccolo, inadeguato, dopo il colloquio con Pavel Art 'ricresce', torna adulto. Per crescere, per superare quella Auschwitz che non riesce a visualizzare (lapsus freudiano?), Art deve riuscire a vedere il padre per quello che era davvero.
E la narrazione stessa di Vladek, sincera e persino impietosa, lo aiuta.

E' una scoperta dolorosa: Art scoprirà che Vladek non è diventato così ossessivo e sicuro di sé, tanto da schiacciare gli altri, a causa dell'Olocausto, come Art pensava all'inizio. Vladek era già così anche prima, per una amara ironia pieno dei difetti che il razzismo tradizionale attribuisce agli ebrei: gli episodi del fidanzamento con Anja (il sentimento non prescinde da considerazioni economiche e calcoli sulla sua capacità di casalinga e sulla sua salute) o i continui riferimenti all'avarizia di Vladek, ai suoi pregiudizi nei confronti di comunisti e negri, sono spie di questa mediocrità, di questa grettezza che è in Vladek quanto in altri uomini.
Vladek non è solo uno scampato: è soprattutto un uomo, con tutti i pregi e i difetti dell'uomo qualunque. La sofferenza non è una ragione sufficiente per la santificazione di chi santo non è, ma solo un uomo con i suoi limiti.

Eppure Maus è un racconto aperto, perché quelli che ai nostri occhi sono difetti, proprio questa sua oculatezza, questo misto tra astuzia e previdenza hanno permesso a Vladek di sopravvivere!
Art riuscirà a superare il confronto con il padre?

Maus porta come sottotitolo 'Racconto di un sopravvissuto': chi è il sopravvissuto che racconta? E' di certo Vladek, ma anche Art lo è.
E' sopravvissuto all'antisemitismo ed al nazismo, che ha conosciuto perché madre e padre non erano riusciti a librersene. E' sopravvissuto al padre che, come giustamente dice a Françoise, “In un certo senso non é sopravvissuto”.
E Pavel conferma: “Forse tuo padre aveva bisogno di mostrare che aveva sempre ragione... che poteva sempre sopravvivere... perché si sentiva in colpa per essere sopravvissuto. E ha passato la colpa su di te, dove era al sicuro... Sul VERO sopravvissuto”.
Cos'è l'antisemitismo in Maus?
E' l'orrore, la violenza fisica e psichica, il fulmine che ti colpisce anche se é caduto a miglia da te.
E' un'esperienza immensa, insuperabile, che pervade la vita di chi l'ha vissuta in prima persona e di chi é figlio dei sopravvissuti.
E' una maledizione che, per dirla biblicamente, colpisce fino alla settima generazione, il peccato originale da cui derivano sia i mali di Vladek che quelli di Art, di questo peccato vittime innocenti.
E' anche un punto di partenza per capire e denunciare la malvagità dell'uomo ma anche per esaltare la sua straordinaria capacità di resistere anche alle prove più dure.
E' una ricerca sulle cause di un male che é personale eppure é universale.

E' un'esperienza in cui i vivi a volte rimpiangono di non essere morti.

E spesso i vivi sono solo sopravvissuti. 

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